domenica 28 dicembre 2014

io e il parto - III puntata

La fase espulsiva (quella cioè nella quale si spinge per far uscire il piccolino dalla pancia) è durata circa due ore, forse qualcosa di più. Sebbene sia stata dolorosa, sfiancante e distruttiva, decisamente preferibile al travaglio. L’espulsione funziona suppergiù così: appena arrivano le contrazioni, che però adesso non fanno più tanto male, tu devi spingere, spingere come una pazza, con tutta la forza che hai, come se dovessi fare la cacca (e infatti, pare che l’abbia fatta due volte, una consapevolmente, l’altra me lo ha detto F. dopo, io non me n’ero accorta. Nota trash). Tra una spinta e l’altra, soprattutto la seconda ora (la prima ero rinvigorita dalla fine del travaglio), mi demoralizzavo e continuavo a dire: «Non ce la faccio. Non ce la posso fare». E qui interveniva l’ostetrica che mi ha seguito per il parto (bravissima), che riusciva davvero a farmi rialzare, dicendo sempre: «Certo che ce la fai. Sei bravissima. Tra poco vediamo se ha i capelli» (in verità questi capelli non si sono mai visti, perché la Coty è nata senza; in ogni caso era un inganno bello e buono perché la testa non si è vista se non nelle tre o quattro spinte finali).

La prima cosa buffa dell’espulsione è che tu vai in sala parto e senti urlare e dire cose inimmaginabili dalle altre donne che partoriscono nelle sale parto accanto alla tua. E non sai che presto quelle urla e quelle cose inimmaginabili usciranno anche dalla tua, di bocca. Un’altra cosa buffa è che tu pensi di stare sdraiata a gambe aperte e spingere (come si vede nei film) e invece no! Questo succede solo alla fine. In verità per due ore spingi dalle posizioni più estreme e impensabili: ho cominciato seduta sul WC, per finire impiedi attaccata al letto, passando per uno sgabellino. E poi si rassicurino i mariti o i compagni che hanno paura di assistere o che non sanno come comportarsi eccetera. Non c’è tempo per la paura, o per il disagio, perché dovete stare sul pezzo. F. doveva partecipare attivamente, non solo confortandomi e incitandomi, ma anche arreggendomi, sollevandomi, tenendomi per le spalle, massaggiandomi la schiena e cose del genere.

Io non ho fatto l’epidurale. Dicono che con l’epidurale non riesci a controllare le spinte e quindi può succedere che spingendo troppo ti spacchi la schiena e che l’uscita per il bambino sia troppo traumatica. Sono felice pertanto di non averla fatta, perché Coty Cò si è presa tutto il tempo per venire al mondo; e proprio verso la fine, quando ero alle prese con le ultime spinte, l’ostetrica mi ha detto che la piccola era sveglia ma tranquillissima, sembrava non patire per niente la discesa. È uscita rosea, poco chiazzata di sangue, con i suoi occhi azzurri e le gambine lunghe. Bellissima. La mia bambina. La nostra bambina.


È vero tutto quello che dicono sul parto. Appena la vedi, c’è solo lei. Sparisce la fatica, il dolore, ed incredibilmente dimentichi tutto; non sai nemmeno come sia possibile, ma lo rifaresti di nuovo. Solo per rivivere quell’attimo magico in cui un capino piccolo piccolo emerge. E ti sembra di non aver mai visto niente di più bello, e ti sembra di non aver mai amato nessuno fino a quel momento. Allora, tu non sei più incinta, non sei più la stessa persona di prima, ma sei una mamma. È il miracolo della vita. Quasi una magia. 

sabato 27 dicembre 2014

Io e il parto - II puntata

La notte del ricovero iniziano le contrazioni, ma sono blande. Molto peggio i crampi mestruali. Una fittarella passeggera ogni dieci, anche venti, minuti. E così anche la mattina, sporadiche, sparse, poco dolorose. Ma ad un certo punto, per favorire la dilatazione (ero lentissima e invece era opportuno mi sbrigassi, dato che Costy era lì dentro senza più molta acqua!), il medico mi somministra una sorta di cremina magica... E dalle 3 fino alle 10 di sera mi sembra di morire. Tra una contrazione e l'altra perdevo i sensi, non dico altro. E c'hai freddo. E poi c' hai caldo. E poi vuoi vomitare. E poi ti dicono di stare impiedi e di muovere il bacino, ma tu lo fai un paio di volte e ti sembra ancora peggio. Allora ti dicono di respirare e di stare appoggiata al letto con il sedere in su, che il dolore dovrebbe essere meno forte, e tu li vorresti mandare tutti a quel paese, perché non è vero, non credeteci, non è assolutamente vero. Almeno sdraiata svieni meglio.

Alla fine però non svieni neanche più, perché non c'è il tempo, e puoi soltanto urlare. E non pensi neanche più a niente, solo ti chiedi se finirà o anche se morirai perché se continua un dolore così dubiti che potrai vivere. Non pensi più alla pancia, non pensi più alla tua piccolina, pensi solo al dolore e speri ardentemente che finisca.

E poi queste contrazioni finiscono. Finiscono davvero. E tu sei lì. Viva. Un po' stanchina a dirla tutta, ma viva. E questo ti rinvigorisce improvvisamente. Non so come, ma l'idea che tu lo abbia affrontato ti fa sentire improvvisamente una specie di eroina, e questo ti dà l'energia per la seconda parte del parto, l'espulsione.

venerdì 12 dicembre 2014

Io e il parto - I puntata

Da quando sono mamma, ho scoperto che il racconto sul parto è un argomento di conversazione dei più amati (fra le mamme, intendo). E ho anche capito che l'interesse sale se
1) il parto è stato naturale (senza cesareo per intenderci)
2) hai partorito in circa 2 ore, cioè con un travaglio praticamente inesistente (tipo sei andata in bagno perché avevi un po' di mal di pancia e invece c'era il pupetto che premeva per uscire, quasi quasi lo facevi in macchina, eccetera)
3) hai partorito in circa 2 giorni con un travaglio infinito e tra dolori lancinanti, con un'espulsione lunghissima ma senza poi finire nel cesareo (altrimenti l'interesse delle altre mamme diventa compassione e questo fa vertiginosamente scendere l'attenzione verso il tuo racconto)

Bene. Posso orgogliosamente ed eroicamente affermare che appartengo al gruppo 1 e al gruppo 3. Io entro in ospedale alle ore 19 del 17 agosto dopo la rottura delle acque, Coty Cò viene alla luce alle ore 1.15 di notte del 19 agosto. 

Il 16 agosto mi ricordo che io e F. andammo in piscina. Era una giornata calda, e mi piaceva molto stare a mollo. Praticamente andavo senza tregua dalla vasca per bagnarmi al bagno per fare pipì. La piccoletta non si muoveva molto gli ultimi giorni, probabilmente perché di posto ormai ce n'era poco, ma premeva in modo impressionante con il suo capino sulla vescica e aveva spessissimo il singhiozzo. Comunque, la sera del 16 le parlai, come facevo quasi tutte le sere. Entravo nella mia settimana numero 39. Le dissi che ero pronta. Che era stato bellissimo averla lì per tutto quel tempo, ma che ora volevo tanto conoscerla, e anche il suo papà voleva conoscerla.
La mattina vado in bagno e mi accorgo che è avvenuto il distacco del tappo mucoso. Il tappo mucoso, come insegnano le ostetriche al corso preparto (sono una tipa molto diligente e sono andata a quasi tutti gli incontri), è costituito dal muco gelatinoso, rosa e marroncino, che fino a quel momento chiudeva il collo dell'utero isolando la cavità uterina dall'ambiente esterno. Dicono che sia un segnale per indicare che il parto è molto vicino. E io so che è così, perché so che la mia piccolina mi ha ascoltata.
La giornata prosegue lentamente. La mattina io e F. andiamo a fare un po' di shopping, passiamo il pomeriggio a guardare Grey's Anatomy (ebbene sì, abbiamo trascorso tutto il mese di agosto, appena tornati dalle vacanze e prima che nascesse Coty Cò a spararci puntate di questa serie TV, dalla prima alla terza stagione, perché non l'avevamo mai vista e noi su queste cose siamo un po' seriali, ovvero ci fissiamo, per dirlo meno gentilmente). La sera avevamo deciso di andare a mangiare una pizza fuori. 

Come un elefante sgraziato (a causa della panciona) mi alzo dal letto per raggiungere l'armadio e indossare il poco che riuscivo ad indossare ma improvvisamente una quantità d'acqua fuori dalla norma mi bagna le gambe, le ginocchia, i piedi e fa una pozzetta sotto di me. Quando sei in gravidanza, ti chiedi delle cose assurde, fra le quali : "ma me ne accorgerò che ho rotto le acque?" Bene, qui ve lo dico. Non c'è il minimo dubbio. Non ha niente a che fare con la pipì, è praticamente come se ti rovesciassero un secchio tra le gambe, come se ti aprissero un rubinetto. E poi l'acqua non scende una volta sola, ma continua a scendere per tutta l'ora successiva.
Comunque. Ho subito un moto di panico (mi passa in fretta, in verità. Col senno di poi, altro che brivido di panico, dovevo essere terrorizzata!!! Meno male che si è così impreparati a ciò che succederà!). Balbetto come una gallina: "F. ho rotto le acque!". Lui in queste cose è bravissimo, e mi tranquillizza subito, prende la borsa con le mie cose, e andiamo insieme verso la porta. E poi, verso l'ospedale.

mercoledì 10 dicembre 2014

Autobus e dintorni

Quando ho pensato a questo post mi è venuto in mente l’acronimo che ci scrivevamo sul diario alle medie e che così recita: ATAF Associazione Trabiccoli Arrugginiti Fiorentini.
Scherzo, ovviamente. L’ATAF è la linea di trasporti che regola il servizio pubblico fiorentini, gli autobus che girano per Firenze, per capirci. A me piace l’autobus, mi è sempre piaciuto, perché garantisce una posizione di osservazione sul genere umano privilegiata: seduta o impiedi, osservo ascolto e invento storie sulle persone che viaggiano assieme a me. Anche con la Coty viaggiare in autobus è uno spasso: innanzi tutto, ci fanno sempre sedere (perché le persone sono mediamente gentili, che se ne dica) e poi anche lei è una curiosona come me, percui passiamo il nostro tempo a volgere lo sguardo di qua e di là.

Detto questo, vorrei segnalare alcuni problemi, incongruenze, fastidi, chiamateli come volete, che mi hanno innervosito da un annetto a questa parte. Eccoli qua:

1) Il biglietto elettronico. Firenze si gloria di essere una delle prime città d’Italia ad avere introdotto il biglietto elettronico: lo puoi acquistare inviando un messaggio con il cellulare a un numero apposito. Ok, bravi. Ma potreste spiegarci come mai costa 1.50, ben 0.30 euro in più di quello cartaceo? Chi volete che lo faccia se costa di più? E soprattutto perché mai costa di più? Non si dovrebbe incentivare a usare il biglietto elettronico, se non altro per questioni ecologiche e ambientali?

2) La carta agile. La carta agile è un tesserino magnetico comprensivo di una decina o ventina di corse che puoi usare al posto del tradizionale biglietto ed è vantaggiosa in termini economici. Un giorno di qualche anno fa la carta agile sparisce misteriosamente dalla circolazione. Poi torna allegramente ma con una variazione ignorata dalla maggior parte dei viaggiatori. Prima della sparizione, potevi con la carta agile vidimare il tuo viaggio e anche quello di altri viaggiatori insieme a te (nel senso che se passavi più volte il tesserino sulla macchinetta  scalava più corse). Al momento del suo ritorno, la carta agile è diventata completamente personale, ovvero vale per un viaggio solo, per intenderci se viaggi con un’altra persona anche lei deve prendersi una carta agile oppure un biglietto. Non so la ragione del cambiamento. Ma non è questo il punto. Il punto è che la macchinetta sembra segnalare più corse, non una sola. Nel senso che se tu avvicini la tessera alla macchinetta lei dice: corsa valida o qualcosa di simile; se la riavvicini, dice di nuovo: corsa valida,  e tu pensi che ne abbia scalata un’altra, invece è sempre la tua! E poi questa trasformazione non è stata pubblicizzata in nessun modo: non c’è scritto sull’autobus, né alle fermate, né sulla carta agile stessa, io non ho incontrato nessun operatore ATAF che abbia divulgato la notizia. Perché? Lo chiedo perché sono fioccate multe, e non vorrei proprio che qualche malizioso pensasse che non sia un caso…
A questo proposito leggetevi la testimonianza piuttosto interessante che vi linko qui

3) I controllori. Lungi da me fare di tutta l’erba un fascio, per carità. Ma ho assistito a scene non proprio edificanti. Ora vi racconto come io e mio fratello abbiamo preso la multa: saliamo, il bus è pieno e rimaniamo alle porte, alla fermata successiva la gente scende, avanza, si disperde, insomma, raggiungiamo le macchinette e facciamo il biglietto; contemporaneamente sale in controllore e ci fa la multa perché non lo abbiamo fatto appena saliti. Hai voglia a spiegargli che prima eravamo pigiati come sardine, niente da fare. Mi accusa pure di essere una furbina, e mi viene proprio da ridere: sono talmente furba che mio marito mi chiama Gino la Volpe, e a presa di culo, ovviamente. Non solo. Ho visto fare una multa a una signora anziana con degli occhialoni spessi che senza accorgersene aveva vidimato il biglietto due volte nello stesso spazio e di sicuro era in buona fede, ma non c’è stata pietà. Ho visto pure fare una multa a una ragazza che aveva un chiaro disturbo cognitivo.

Allora, io vorrei solo osservare questo. Il controllore per definizione controlla. Controllare significa esaminare attentamente e/o ispezionare. Ma non è un sinonimo di giustiziare. 

domenica 30 novembre 2014

Eraclito e qualche aforisma

Polemos di tutte le cose è padre e di tutte il re

Questo è uno degli aforismi di Eraclito, il mio filosofo preferito prima di Platone. Eraclito in verità ha fama di uomo super antipatico, arrogante e presuntuoso, fama che gli deriva da una serie di affermazioni contro il volgo (apparteneva a una famiglia nobile, si dice addirittura avesse rifiutato la carica di re di Efeso), da lui ritenuto rozzo e ignorante.
Quanto lui è insopportabile, tanto la sua filosofia è affascinante. Scrive aforismi di assoluta bellezza, soprattutto mi piacciono quelli dedicati all'anima umana, tra i quali: "Per quanto tu cammini, ed anche percorrendo ogni strada, non potrai raggiungere i confini della psiche: tanto profonda è la sua vera essenza", oppure "Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo". Il primo allude alla complessità dell'uomo, il secondo al cambiamento: abbiamo un mondo dentro di noi, affascinante e complicato, spesso sconosciuto a noi stessi, e poi ci modifichiamo ed arricchiamo ogni giorno, perché ogni nuova esperienza ci rende diversi da quello che eravamo ieri.

Ma cosa vuol dire l'aforisma che ho messo ad esergo di questo post? Chi è polemos? Polemos in greco significa guerra. Ma attenzione... In Grecia polemos non intendeva solo lo scontro militare, ma anche la contesa, il conflitto, lo scambio dialettico.
Pertanto con questa affermazione Eraclito intende dire che la realtà (intesa come tutto ciò che esiste) si mostra sempre attraverso l'opposizione di termini contrapposti: ogni cosa non è mai da considerarsi nella sua unicità, ma esclusivamente in relazione a un elemento che la nega. Non c'è l'amaro senza il dolce, o il giovane senza il vecchio, né il sano senza il malato, e neppure il caldo senza il freddo (sono tutti suoi esempi). Questa spiegazione rimanda a uno dei concetti cardine della filosofia eraclitea, quella che è indicata comunemente come "l'armonia degli opposti".
Ma spiegare polemos solo in questo modo credo sia riduttivo. Come sempre, secondo me, la filosofia va applicata a un contesto umano e comunitario. È dal vivere all'interno di una città, è nel rapportarsi con gli altri che Eraclito potrebbe avere appreso che tutto avviene secondo opposizioni. Io sostengo un'idea, l'altro da me ne sostiene un'altra, ed è proprio dalla relazione fra noi due, dallo scambio dialettico, dal dialogo anche come scontro che scaturisce la verità. Altrimenti come spiegare un altro aforisma di Eraclito che sostiene: "si deve sapere che polemos è comune, e che la giustizia è contesa, e che tutto avviene secondo contesa e necessità"? Eraclito qui mostra che polemos è una condizione sana; intende dire che polemos, nel senso di lotta, rivalità, contesa, è alla base della stessa formazione del concetto di giustizia. Perché la giustizia, secondo Eraclito, non è qualcosa di acquisito a priori, ma qualcosa che si impara, dallo scambio, dalla differenza, dalla relazione, anche qualora questa relazione sia oppositiva. E perché no, è vero anche che la giustizia mai la apprenderemmo se non facessimo esperienza del suo opposto. E vi lascio infatti con le sue parole:

Di giustizia non vi saprebbero il nome se non ci fossero le cose ingiuste

martedì 25 novembre 2014

La stella Renzi

Quello che sto per scrivere è in assoluto il mio post più idiota. Direi che sarà anche tra i dieci post più idioti della rete. Ma dovevo condividere con voi questa scoperta. Ve lo dico di già: perdonatemi.

Riconosco di essere un po' fuori dal mondo da quando è nata Coty Co. Non seguo molto la politica. Leggo poco il giornale. E soprattutto non guardo mai il TG, perché la sera guardiamo tutti Peppa Pig (sulla quale sono peraltro preparatissima, conosco puntate e personaggi a perfezione). Non vedo neanche più Crozza perché la sera metto a letto la piccoletta e dopo sono spesso troppo cotta per rialzarmi. Prometto di riprendermi. Datemi qualche altro mese e poi tornerò appieno nel mondo civile e sociale.

Però mentre ero su Youtube con la topina ho trovato in un cartone (molto carino e adatto a bimbi piccoli per altro!) il sosia di Renzi.




Che ve ne pare? Non trovate che la stellina dentona gli somigli?? 



lunedì 17 novembre 2014

Ancora a Coty... Perché non resisto!

Eh sì. Non resisto. Devo tornare a parlare di lei. Vivere con la mia piccola Coty è un continuo rimanere sospeso fra il passato e il futuro. Ogni giorno Coty cambia e non fai che chiederti come sarà domani, cosa succederà fra un mese, come sarà fra un anno, e poi quando inizierà la scuola e quando sarà un'adolescente (a questo è meglio non pensare!!). Con trepidante gioia guardi al giorno che verrà. E alla bambina che diventerà. Al tempo stesso non fai che ripensare ai momenti passati insieme, e provi un'indicibile nostalgia per quegli attimi irripetibili. Penso a quando l'ho vista la prima volta. Lunga, con gli occhi azzurri, che mi si è arrampicata addosso e appoggiata alla tetta. Penso alle nostre passeggiate assieme, lei piccolissima che dormiva nel marsupio in collo a me. Penso alle sue prime risate. A quando ha detto mamma. E poi papà. A quando gattonava: orgogliosa di se, dopo 4 o 5 zampettate, si metteva seduta, ti guardava e salutava con la manina.

Voi mi direte di godermi il presente invece di guardare al futuro e al passato in questo modo. E io vorrei rispondere che trovo questo presente davvero sopravvalutato. Come dire, il presente è troppo breve. Un attimo prima è futuro, un attimo dopo è passato. E poi cosa vorrebbe dire? Cosa faccio, mi godo il presente e non penso? Ma io non posso fare a meno di pensare. E allora, davvero, preferisco essere così. Una sognatrice piena di speranze, che guarda al futuro perché non ha paura. E al tempo stesso, una romantica nostalgica, che guarda al passato perché sa che il passato determina la mia storia e il mio essere.

Ma in verità, bambina mia, io trovo meraviglioso pensare a te. Sono orgogliosa dei progressi che fai ogni giorno. Sono felice di vederti così luminosa e bella. Sono commossa quando vieni da me e dal papà a darci i bacini. Ti sono riconoscente per aver reso speciale il mio passato.  E sono pronta ad accompagnarti nel futuro, fino a quando tu vorrai, e nel modo in cui vorrai.